Barbara Bonomi Romagnoli | Tempo di guerra per decreto. Chi informa è un traditore – La riforma dei codici militari
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Tempo di guerra per decreto. Chi informa è un traditore – La riforma dei codici militari

Lo scorso novembre, la maggioranza ha approvato al Senato la delega al governo per la riforma dei Codici penali militari di pace e di guerra. Obiettivo principale del progetto è ottenere la massima applicabilità della legge marziale e mantenere in vita la giurisdizione militare, inconcepibile nel nostro paese anche per la fine della leva obbligatoria, che, almeno formalmente, poteva giustificarla.

La giurisdizione militare è stata abolita in tutti i paesi della Nato, a eccezione dell’Italia e della Turchia. Dai primi di febbraio, il testo del decreto è alla Camera, ed è da molti considerato più che discutibile; soprattutto laddove rende legittima l’adozione della legge penale di guerra, in deroga ai principi sanciti dalla Costituzione, anche in territorio straniero e durante quelle che ci si ostina a chiamare «missioni di pace», come in Iraq. Ecco quali sono i molti punti più discussi, a cominciare dal fatto che si prevede di sottoporre alla legge penale militare molti reati comuni commessi da militari.
Il progetto limita fortemente i diritti democratici nelle caserme, trasformando in reati militari anche le trasgressioni disciplinari. In una recente riunione tra parlamentari dell’opposizione e rappresentanti del movimento e della società civile, il generale dell’aeronautica Albino Amodio ha sottolineato, ad esempio, che la definizione data nel testo di riforma di «territorio militare», ossia «qualunque altro luogo dove i militari si trovano, anche se momentaneamente, per ragioni di servizio», è di una tale vaghezza e ambiguità che anche la metropolitana, se usata per ragioni di servizio, può diventare luogo da sottoporre alla giurisdizione militare.

Domenico Gallo, magistrato, membro del comitato scientifico dell’associazione Megachip, sostiene che tra le motivazioni non esplicite di questa legge vi è l’esigenza di evitare l’annullamento proprio della giurisdizione militare, che in questo momento è di fatto svuotata di senso. E, aggiunge Gallo, con questa riforma, al governo basterà un semplice decreto legge per promulgare la legge marziale e le disposizioni che presuppongono il «tempo di guerra» al di fuori del territorio nazionale; verrà aggirata la garanzia fondamentale della deliberazione-dichiarazione dello stato di guerra, come prevede la Costituzione, e sarà consentito all’esecutivo di rendere possibile la partecipazione dell’Italia a qualunque guerra.

Infine, e non meno grave, si mette in discussione la libertà di informare di quanti, anche non militari, operano, come giornalisti ad esempio, nei teatri di operazione all’estero. La stessa attività delle Ong, nei territori dove sono in corso conflitti armati, potrebbe trovarsi in seria difficoltà. Oltre a essere vietata la divulgazione di tutte le notizie che autorità militari o politiche non vogliono rendere pubbliche, per tutti i civili sono previste due fattispecie, entrambe illegittime e lesive del diritto di cronaca: in «tempo di pace», l’eventuale diffusione di notizie ricevute da militari sarà perseguibile con la reclusione da cinque a venti anni, per concorso in reato militare; in «tempo di guerra» non sarà possibile diffondere alcuna informazione senza autorizzazione di autorità militari, e in caso contrario il reato sarà perseguibile dal riesumato tribunale militare sulla base alla legge marziale.

Si è creata una rete di rappresentanti di Ong, parlamentari, movimenti pacifisti e nonviolenti, rappresentanti della stampa e della magistratura democratica, promossa dalle parlamentari Elettra Deiana [Prc] e Silvana Pisa [Ds], che da tempo denunciano l’incostituzionalità della riforma. In attesa della discussione alla camera, è stato lanciato un appello perché associazioni, Ong, stampa e chiunque sia interessato, chieda di essere ascoltato nelle audizioni delle commissioni difesa e giustizia, che hanno in esame il provvedimento. Si stanno anche diffondendo proposte di disobbedienza civile.

pubblicato su Carta, www.carta.org



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