Barbara Bonomi Romagnoli | femminismi
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Vicine di casa, vicine al mondo

Trent’anni di centro antiviolenza e quindici anni di Festival della Violenza illustrata per cambiare il mondo a partire dalle singole donne. Un bel compleanno per la Casa delle donne di Bologna che in questi decenni «ha visto passare oltre 12mila donne, ognuna di loro con una sua storia, importante, unica, di sofferenza ma anche di felicità per una nuova vita da ricostruire” come racconta Anna Pramstrahler, una delle socie fondatrici della casa e co-ideatrice del Festival: «siamo riuscite a costruire un centro autonomo e femminista, siamo tutte donne, formate, motivate, con una forte spinta politica a non volere considerare la violenza maschile contro le donne un problema “psicologico” come fanno i servizi istituzionali. È una questione globale, strutturale, una questione di potere tra i generi». E l’anno della pandemia lo ha confermato.

Cara Raggi, la Casa delle Donne vale molto più di un milione di euro

Poco più che ventenne alla scoperta dei femminismi, sono entrata per la prima volta, da via della Lungara, dentro la Casa internazionale delle donne e mi son trovata dinanzi il lungo corridoio in penombra. Ho provato timore e stupore assieme, come quando entravo nell’edificio monumentale delle scuole medie, in tutt’altra zona della città, che per ironia della sorte si chiama ‘Complesso del Buon Pastore’ così come il nome della struttura seicentesca che – nel cuore di Roma – dal 1987, grazie al Movimento Femminista Romano sfrattato dalla Casa delle Donne del Governo Vecchio, è diventato uno spazio delle e per le donne, con decine di associazioni e gruppi che hanno promosso pratica e politica femminista accanto a servizi culturali, socio-sanitari e legali.

Speciale Covid 19 – Intervista a Sara Gandini

11 maggio 2020

“Quando si effettua una selezione di competenze e qualità la scelta dovrebbe essere in base al merito. Siamo certe che anche soltanto una maggiore attenzione nell’applicazione di quest’ultimo criterio avrebbe certamente portato alla selezione di un adeguato numero di donne all’interno delle varie commissioni, di cui sicuramente avrebbe beneficiato la gestione dell’Emergenza Covid-19. Da ora in avanti pretendiamo che un equilibrio di genere negli organi di rappresentanza e nelle commissioni tecniche e scientifiche sia una priorità assoluta”: è un passaggio dell’appello rivolto i primi di maggio dalle scienziate italiane al Governo italiano. Fra loro, anche Sara Gandini, laureata in statistica e specializzata in Biometria e Epidemiologia, direttrice dell’unità “Molecular and Pharmaco-Epidemiology” presso il dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO). Dal 2016 è anche professoressa a contratto di statistica medica presso l’Università Statale di Milano ed è autrice di più di 200 articoli su riviste nazionali ed internazionali.

Tacciano le madri, ascoltiamo le figlie

Cominciare dalla fine, senza svelare la trama, per andare a leggere “la loro storia”: cinque donne, qualche uomo, un’isola su cui si ritrovano tutte, una voce narrante che infine recita “lei sa di cosa ho bisogno. Sa che per esistere, per avere la giusta consapevolezza di te, devi possedere una storia che ti precede (e che ti continua, ha detto una volta), perciò non ho mai dovuta pregarla. È stata lei a spiegarmi da dove vengo e perché e a raccontarmi della repubblica delle madri”.

È qui, nella storia che ognuna di noi ricostruisce, che risiede, almeno così mi è parso, il senso profondo dell’ultimo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli, L’isola delle madri [Mondadori, 2020].

Le donne e il lavoro

Il più grande nemico di una donna? La mancanza di tempo per se stessa. Non ha dubbi la giornalista e scrittrice Brigid Schulte, autrice di Overwhelmed: Work, Love and Play When No One Has the Time che in italiano potrebbe suonare più o meno così: Travolta: lavoro, amore e gioco quando non se ne ha il tempo. È una sensazione frustrante che va molto oltre il desiderio della stanza tutta per sé auspicata da Virginia Woolf, perché dentro e fuori qualunque “stanza” qualsiasi donna continua a essere sopraffatta e schiacciata da quell’insieme di lavoro produttivo, riproduttivo e di cura che, ancora oggi, nel 2019, traccia il discrimine netto fra lo status esistenziale e politico dell’essere maschio o femmina – quest’ultima, non necessariamente biologica e non necessariamente con prole, resta una femmina agli occhi della società e tali restano le aspettative su di lei.

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