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14 Dicembre 2014
Tornare a casa entusiasta e piena di senso per il futuro, dopo tre giorni di Convegno nazionale dal titolo “Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi” , e leggere le dichiarazioni di Luisa Muraro è come andare a sbattere contro un muro di gomma. E davvero non se ne può più.
Per questo mi associo con passione alle parole dette da
Luisa Pronzato e Elena Tebano.
Essere femministe significa prima di tutto voler cambiare, insieme, un mondo che non ci piace, da decenni. Molto è stato fatto dalle donne arrivate prima di me, nata nel 1974, e molto altro lo stanno facendo le mie coetanee e quelle più giovani. Solo che non si sa, lo si racconta poco o male, e soprattutto c’è molta resistenza da parte di molte delle donne che hanno fatto le lotte degli anni Settanta a voler riconoscere autorevolezza, posizionamento politico e spazi di visibilità a chi è venuta dopo di loro. Il risultato di questo mancato riconoscimento è sotto gli occhi di tutte: si afferma sempre più una mentalità puramente emancipazionistica e per niente liberatoria, spesso moralista e fintamente non sessista, con giovani donne e giovani uomini che non percepiscono quanto si stia tornando indietro sul piano delle conquiste e dei diritti che, sappiamo bene, non sono acquisiti per sempre.
Dire che le donne delle nuove generazioni «danno lustro a una baracca che sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di qualità”, per usare le parole di Muraro e di chi condivide il suo stesso sguardo, lo trovo offensivo, arrogante e superbo, ed è curioso che una delle “madri” della differenza non distingua fra donne e faccia di tutta l’erba un fascio. Senza il minimo sforzo per andare a vedere cosa succede nella realtà, fuori dal salotto delle illuminate.