Barbara Bonomi Romagnoli | Secondo il governo Berlusconi in Italia il razzismo non esiste – A Durban la conferenza mondiale contro la discriminazione razziale
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Secondo il governo Berlusconi in Italia il razzismo non esiste – A Durban la conferenza mondiale contro la discriminazione razziale

La Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze si apre il 31 agosto nella città sudafricana di Durban e fino al 7 settembre impegnerà circa seimila delegati provenienti da tutto il pianeta. Ma è una conferenza che ha fatto discutere. Decisa dall’Alto Commissariato delle Nazioni unite nel 1997 e assegnata due anni più tardi al Sudafrica in ragione dei progressi compiuti – almeno sul piano istituzionale e simbolico – nella lotta al razzismo e nel tentativo di superare senza traumi la dolorosa eredità dell’apartheid, la Conferenza, la terza sul tema dopo quelle di Ginevra del 1978 e del 1983, è stata nelle ultime settimane al centro di polemiche fra gli stati membri dell’Onu.

Gli obiettivi all’ordine del giorno dei due incontri preparatori, tenuti a Ginevra nel corso dell’ultimo anno, sono l’analisi dei motivi storici, sociali, economici e culturali alla base delle discriminazioni razziali, il consolidamento dei risultati ottenuti dalle risoluzioni in difesa dei diritti umani, lo studio di nuove misure per combattere i fenomeni xenofobici e la ricerca di nuove risorse per attuarle, sono stati giudicati da molti generici. Ma soprattutto scansavano problemi politici.

Il sionismo è “razzista”?

La richiesta dei paesi arabi, ad esempio, di presentare un loro documento, che definiva esplicitamente il sionismo una “forma di razzismo” e lo stato israeliano uno stato fascista ha scatenato le ire di Israele e degli Stati uniti, che hanno minacciato di boicottare l’incontro di Durban. Un’altra controversia esplosiva è quella sulla condanna allo schiavismo e gli eventuali risarcimenti ai paesi africani vittime del colonialismo. La proposta di una risoluzione, avanzata da numerosi stati africani, caraibici e sudamericani, ha creato un “fronte del no” composto da Stati uniti ed Unione europea, ma soprattutto gli ex paesi coloniali Inghilterra, Francia e Belgio, per i quali dichiarare che schiavitù e colonialismo sono crimini contro l’umanità comporterebbe una severa quanto imbarazzante autocritica, e aprirebbe la strada alla richiesta non solo di scuse ufficiali per la tratta degli schiavi, ma anche di risarcimenti.

Nel 1990, il nigeriano Moshood Abiola, presunto vincitore nel 1993 delle elezioni presidenziali poi annullate dal regime militare di Abacha, ha azzardato in venticinque miliardi di dollari l’eventuale risarcimento, oggetto di studio anche da parte degli avvocati della ong Human rights watch. La questione divide anche i paesi africani promotori dell’iniziativa, tra i quali prevarrebbe una linea moderata: “Valutare gli effetti della schiavitù in termini monetari, sarebbe assurdo e perfino insultante”, ha sostenuto il presidente senegalese Adulaye Wade.

E il sistema delle caste in India?

Neppure il giudizio sul presente, però, sembra mettere tutti d’accordo. L’India per esempio rifiuta discussioni sul proprio sistema sociale basato sulla divisione in caste, e sui “senza casta”, che rappresentano il 16 per cento della popolazione indiana. La maggior parte dei paesi europei non vorrebbe affrontare il problema dei diritti umani delle popolazioni zingare, violati in gran parte delle avanzate democrazie del vecchio continente.

In Italia, dove le riunioni preparatorie sono state gestite dal ministero degli esteri, il primo documento ufficiale negava che nel nostro paese esistesse il problema del razzismo. Il ministero ha cercato di cavarsela aprendo un dialogo con molte ong che si occupano di cooperazione internazionale, giudicando però secondaria l’opinione delle associazioni che si occupano in Italia di Rom e di immigrazione.

Altro tema scottante è quello delle discriminazioni subìte dai rifugiati: una risoluzione dell’Onu interferirebbe con le politiche interne, tutt’altro che progressiste, di alcune nazioni [l’Inghilterra ad esempio assegna uno status inferiore ai rifugiati provenienti dai Balcani e dall’Albania]. Maggiore è l’accordo, invece, sul riconoscimento dei popoli indigeni come soggetti di diritto votato a Ginevra il 12 agosto dalla maggioranza degli stati membri dell’Onu, benché una risoluzione finale potrebbe disturbare la politica del governo messicano e la nuova legge rifiutata dai popoli indigeni e dagli zapatisti.

L’anticonferenza sociale

Anche se nel documento ufficiale delle Nazioni unite è prevista la presenza di rappresentanti e osservatori delle organizzazioni non governative, le ong hanno organizzato un Forum parallelo. L’Europa è rappresentata dall’Enar, Rete europea contro il razzismo che raccoglie circa seicento organizzazioni, tra ong e associazionismo di base, che presenterà anche un documento alla conferenza ufficiale delle Nazioni unite. Dal 28 al 31 agosto, alla vigilia della Conferenza, si sono incontrate per loro conto a Durban le reti e le organizzazioni sociali che hanno messo in pratica attività contro il razzismo e la discriminazione in tutte le loro forme e affermato “la comune appartenenza al genere umano, come è stato dimostrato dalle recenti scoperte sul genoma”.

Le delegazioni ufficiali, da parte loro, solo un mese fa, hanno negato l’accredito, alla Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze, ad un’associazione internazionale di gay e lesbiche, su pressione di alcuni paesi arabi, con la determinante astensione al voto della “modernissima” Svezia.


(in collaborazione con Federico Faloppa)


pubblicato su Carta, www.carta.org




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