Barbara Bonomi Romagnoli | Relatività? No, stessi diritti per le migranti – Dieci anni di Trama di Terre, Centro interculturale di donne a Imola
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Relatività? No, stessi diritti per le migranti – Dieci anni di Trama di Terre, Centro interculturale di donne a Imola

Un argomento non facile, da anni dibattuto nel mondo anglossassone, e che pian piano sta interessando anche la grande provincia italiana.


Parliamo di multiculturalismo e diritti delle donne, di come bloccare le pratiche religiose integraliste attive nelle comunità migranti e il peso che hanno nella vita delle donne, senza mettere in discussione autodeterminazione e libertà di scelta. Aldilà delle posizioni, la cui discussione va sostenuta e ampliata, è necessario affrontare la questione con urgenza, senza cadere nelle trappole della sicurezza razzista e buonista. Marieme Helie Lucas del Wlum (Women living under muslim laws) intervenendo al convegno internazionale “Il multiculturalismo fa male alle donne?” – organizzato l’8 e 9 dicembre a Imola dal Centro interculturale di donne Trama di Terre – non ha usato mezzi termini: “Il multiculturalismo come è inteso in molti paesi europei dà voce solo alle parti più conservatrici delle culture presenti in Europa, tra cui quella islamica, e spesso è solo un’altra versione del patriarcato”. Se è vero, come ricordato dalla sociologa marocchina Zineb Mladi, che viviamo in un mondo sempre più aperto dove nessuno «potrebbe oggi sostenere che mangia o veste solo nei modi della sua etnia», è altrettanto vero che le politiche “multiculturali”, che tanto si vantano di essere attente alla tutela dei presunti diritti universali, sono tendenzialmente espressione di istanze di uomini e poco si curano di quello che accade alle donne migranti nei paesi occidentali.

Il convegno ha cercato di tenere unite teoria e pratica, partendo da un punto di vista femminista sul mondo, che vuole costruire relazioni più che dissertazioni filosofiche e cerca risposte concrete a fatti materiali che hanno bisogne di soluzioni ora, non fra trent’anni.
In Italia il tema è ancora molto scivoloso, c’è una sorta di timore ad affrontarlo e soprattutto non si sostengono i luoghi dove dare parola, ascolto e reciproco riconoscimento a donne native e migranti.
”Qui a Trama rifiutiamo l’autocensura e vogliamo prendere il problema di petto – ha spiegato Tiziana Dal Pra – contro questo genere di relativismo culturale, che mette fra parentesi i diritti delle donne, anche a sinistra”.
Tra i tanti nodi da sciogliere, resta capire perché i diritti acquisiti per l’autodeterminazione delle donne, con le lotte del movimento negli anni Settanta in Europa, sembrano valere per le native e non per le migranti che arrivano nei nostri paesi. Perché ci permettiamo il lusso di pensare che le migranti debbano ripetere la storia? Perché accettare che si parli di loro o come vittime o come “minorenni, mera appendice dei loro mariti”? Non si possono ignorare le vittorie importanti ottenute dalle donne in Algeria, Malesia, Indonesia, Turchia. Allora perché non parlare di questo Islam, anziché riportare solo esempi regressivi?.
Non si tratta di mettere in campo pratiche di maternage o chissà quale “affidamento”, ma di riconoscerle come altre donne con cui condividere i saperi maturati in questi decenni e non accettare che anche nei paesi che le ospitano siano uomini a decidere per loro.
Le tante storie che il convegno ha ospitato hanno restituito tutta la complessità di un sistema “multiculturale” dove è possibile avere paesi in cui con accordi bilaterali si permette di avere un doppio diritto, quello del paese in cui si vive e quello della terra d’origine, che guarda caso viene applicato sempre a scapito delle donne.
Il documento finale raccoglie le idee e i proponimenti delle intervenute, spiega le condizioni di donne “obbligate a rimpatriare in caso di divorzio con alcuni consolati che (…) richiedono l’autorizzazione del marito per rilasciare loro un passaporto. Se vittime di violenza da parte di un familiare non sempre riescono ad accedere alle misure di protezione sociale, come prevede l’articolo 18 che dovrebbe proteggere tutte le vittime di violenza (…). Spesso invece, anche nelle stesse istituzioni, sorgono dei mediatori improvvisati che, nel difficile momento delle decisione di una donna di sporgere denuncia, agiscono per persuaderla a non ‘dividere una famiglia’ e continuare così a sopportare intollerabili violenze, disprezzo, offese alla propria dignità. Le giovani sono spesso a rischio di rimpatri forzati o addirittura di essere costrette a sposarsi contro la propria volontà” (l’appello completo è su www.tramaditerre.org).
Il tema della violenza maschile sulle donne (con workshop pomeridiani su femminicidio e matrimoni combinati, a cui sono intervenuti tra gli altri Marco Deriu e Daniela Danna) è stato probabilmente il trade d’union di testimonianze molto diverse tra loro (l’Algeria nell’intervento di Lalia Ducos, le donne marocchine in Italia raccontate da Dounia Ettaib, Erika Bernacchi di Amnesty e tante altre) oltre che fulcro di un ragionamento che ha visto protagoniste, come di rado accade, donne migranti di diverse generazioni, che non vogliono che si parli per loro ma neanche che si faccia finta che non esistano.

pubblicato su Liberazione www.liberazione.it



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