Barbara Bonomi Romagnoli | Quattro domande a Michela Murgia, scrittrice
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Quattro domande a Michela Murgia, scrittrice

Sul suo blog in alto a destra c’è l’aggiornamento meteorologico su Cabras, Sardegna occidentale. E poi sotto scorrendo la pagina si parla di cose sarde, di politica, di diritti, di cultura, di chiesa…e qua e là spunta il sorriso di Michela Murgia, 38 anni, scrittrice divenuta famosa con il suo primo romanzo autobiografico, Il mondo deve sapere (Isbn edizioni), che di recente è stato ripubblicato con una postfazione inedita dell’autrice. All’epoca della vicenda Michela lavorava nel call center della multinazionale americana Kirby Company e la sua storia di mobbing e precariato ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti. Un enorme successo di pubblico e critica.

In che modo questo fatto ha cambiato la sua vita e il suo rapporto con il denaro?

Il mio rapporto con il denaro è ancora pessimo, ne diffido come di una serpe perché cambia la percezione del mondo. Fortunatamente intorno a me i miei amici sono rimasti uguali, per ciò è remoto il rischio di lasciarmi tentare a comprare un collare di diamanti al gatto. La vita è cambiata perché ho cambiato lavoro, ma quello che mi sta accadendo è comunque un lavoro, non è la mia vita. Finché mi ricordo questo, tutto accade senza sembrare catastrofe.

Con il romanzo Accabadora ha vinto il Campiello 2010. Un libro che tocca temi molto delicati, come l’eutanasia e l’adozione, come mai ha deciso di raccontare questa storia? Da cosa si è lasciata ispirare?

Dall’immagine di una vecchia e di una bambina che camminavano insieme con lo stesso ritmo, senza essere madre e figlia. Ho sempre subìto il fascino dell’istituzione dei figli d’anima [figli adottivi, n.d.r.], non tanto come esperienza, perché lo sono a mia volta e quindi so cosa significa esserlo, ma per il senso comunitario e sociale della genitorialità che riesce a esprimere. In tempi di retorica opprimente sul dogma della cosiddetta famiglia naturale, la lezione dei figli d’anima dimostra che la famiglia è prima di tutto una questione di scelte, e quindi di cultura, non di natura, né più brutalmente di istinto. A dimostrare che il sangue molte volte è acqua, basterebbe la cronaca.

Progetti per il futuro?

Mantenere i piedi per terra e cercare di non farsi convincere a scrivere libri non necessari.

A proposito del suo primo libro disse: «Mi daranno il Premio Nobel per il precariato. E me lo leveranno dopo due mesi», che dice, il Campiello glielo faranno tenere più di due mesi?

Considerato che i giurati della giuria popolare che me lo ha assegnato vengono sostituiti ogni anno, dire che se c’è qualcuno che deve fare i conti con la precarietà almeno stavolta non sono io.

pubblicato su BCC Magazine – gennaio 2011



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