Barbara Bonomi Romagnoli | Nelle foto racchiuso il dolore del mondo – World Press Photo 2006
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Nelle foto racchiuso il dolore del mondo – World Press Photo 2006

Su uno sfondo nero, dove risalta solo il rosso del sangue e del disegno del vestito, Samar Hassan urla il suo dolore pochi secondi dopo che le truppe statunitensi hanno sparato e ucciso i suoi genitori a Tal Afar, nell’Iraq del nord. Samar è una bimba a cui restano solo i fratelli, rimasti gravemente feriti nell’accaduto. Pochi passi e incontriamo gli occhi di una madre accasciata a terra, quasi rannicchiata in posizione fetale, mentre guarda con orrore un soldato che colpisce il figlio, presunto saccheggiatore in Togo.


Come non bastasse, ecco l’abbraccio in bianco e nero tra Elisabeth, dodici anni, e il suo fratellino di tre anni, Roberto: è la disperazione in primo piano, la tenerezza che si mescola alla desolazione, nel remoto villaggio di Nebaj nel sudovest del Guatemala.
Sono piccole scene di ciò che avviene nel mondo e ci appaiono quasi fossimo spettatori di un teatro itinerante. Alcune immagini ci riportano dentro scenari noti, spesso sotto gli occhi dei riflettori, ma molte altre rivolgono lo sguardo a luoghi che i mass media quasi sempre dimenticano o non ritengono degni di notizia.
È certo questo uno dei maggiori meriti del World Press Photo, uno dei più noti riconoscimenti per il fotogiornalismo internazionale, che oltre ad essere un premio è anche una mostra e una pubblicazione annuale.
Da più di cinquant’anni, la World Press Foundation, organizzazione indipendente creata nel 1955 nei Paesi Bassi per promuovere e sostenere il fotogiornalismo professionale, non solo organizza un concorso annuale, ma ha anche creato un luogo prezioso di scambio e incontro per i fotogiornalisti di tutto il mondo. Nell’edizione del 2006 come sempre le migliori fotografie sono state raggruppate, e premiate, per tematiche: ci scorrono avanti gli occhi ritratti di donne e uomini ma anche fotostorie, brevi ma intense finestre su mondi sconosciuti ai più.
Dal 24 aprile al 18 giugno l’austera Oude Kerk, la più antica chiesa di Amsterdam, ospita l’esposizione delle foto premiate e parallelamente sono state aperte altre mostre in diverse città tra cui Amburgo, Poznan, Atene, Londra, Manama, Milano, New York, Sydney e Roma (museo di Roma in Trastevere). Complessivamente saranno 85 le città del mondo che ospiteranno i lavori dei vincitori del concorso annuale.
Il World press photo organizza anche dei progetti educativi: seminari, gruppi di lavoro ed il Joop Swart Masterclass, un seminario che ogni anno riunisce dodici fra i più giovani e promettenti fotogiornalisti del mondo.
Perché l’intento non è solo quello di raccogliere immagini sensazionali, sebbene perfette dal punto di vista tecnico-artistico, ma si vuole anche contribuire a una migliore informazione e conoscenza del mondo.
Non ci sono solo immagini che forse abbiamo già visto pubblicato altrove, perché legate ad avvenimenti che hanno fatto la storia di questi mesi – come lo sgombero dei coloni nello scorso agosto in Israele o l’attentato al primo ministro Hariri in febbraio a Beirut – ma anche istantanee che in un volto raccontano una vita intera. Come quella di Mia, 26 anni, tossicodipendente e sexworker, che nonostante ha appena perso il ragazzo per overdose e vede raramente la sua bimba di sei anni, prova per quanto le è possibile di vivere una vita decente. Ce lo racconta la didascalia sotto la foto, ma ce lo dicono anche i suoi occhi che sembrano non chiedere solo aiuto ma anche comprensione e cura.
Tra le foto-storie c’è quella che racconta la Liberia, paese devastato da una lunga guerra civile, dove si considera che il 16 per cento della popolazione è disabile e circa 77mila persone sono cieche, molti sono bambini divenuti ciechi per la malnutrizione. Le immagini ce li mostrano mentre scrivono in Braille o giocano a calcio aiutandosi con una palla che contiene un sonaglio.
E poi ci sono i migranti che sbarcano in Europa, la vita di tutti i giorni in un villaggio della Romania, un bimbo che viene punito in Bangladesh per non aver terminato il suo lavoro in tempo. Pochi gli scatti che ci fanno tirare un sospiro di sollievo.
Senza dubbio, la prima impressione che si ha, uscendo dalla mostra, è che – escluse le immagini che concorrono nella sezione Natura e Sport – ovunque si giri lo sguardo, incontriamo immagini di guerra, disperazione, precarietà.
Vediamo un mondo che sorride poco e che fatica a sopravvivere, almeno nella maggior parte del globo.
Tornano in mente le pagine di Susan Sontag e le sue riflessioni nel saggio “Davanti al dolore degli altri”, dove la scrittrice si interrogava su quanto le immagini delle atrocità in giro per il mondo, che riempiono la nostra vita, possano o meno influenzare la nostra percezione del mondo. Ma soprattutto di quelle lucide pagine affiora il monito di Sontag quando scrive, riferendosi allo stupore di fronte a certe immagini raccapriccianti: “Dopo una certa età, nessuno ha diritto a questo genere di innocenza, o di superficilità, a questo grado di ignoranza, o di amnesia”.
Per questo sono importanti le fotografie selezionate dal World Press Photo, che sono certamente solo una parte di quelle che potremmo vedere, ma sono uno stimolo importante per scendere in profondità, per non fare finta di nulla o rimuovere ciò che non vorremmo che accadesse.


pubblicato su Liberazione, www.liberazione.it




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