Barbara Bonomi Romagnoli | Intervista a Pietro Follini, designer ecologico
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Intervista a Pietro Follini, designer ecologico

È possibile progettare oggetti che tengano conto della relazione fra essere umani e mondo vegetale? Si può essere ecologici e belli al tempo stesso utilizzando materiali di riciclo? Per Urban Symbiosis Design la risposta è affermativa e anche concreta, con la creazione di elementi per l’arredo che ospitano piante bio-filtranti e hanno come fine ultimo il benessere di chi vive quei luoghi. Urban Symbiosis Design nasce dalla ricerca di Pietro Follini, che da anni intreccia il suo viaggio creativo fra arte, design e comunicazione.


Quando ha iniziato nella sua lunga e variegata carriera a occuparsi di questioni “ambientali”
?

Sono circa sei anni che ho iniziato a costruire uno spazio di lavoro dedicato alle problematiche ambientali, spazio che poi è diventato uno studio di design che si occupa di wellbeing, in particolare di problematiche di indoor pollution, ossia inquinamento da interni.

Può spiegarci meglio cosa si intende per filosofia del Biophilic Design?

Vorrei iniziare citando il pensiero di Edward Wilson, biologo e autore di Biophilia 1984, dove scrive: “…la bellezza è la nostra parola per la perfezione di quelle qualità dell’ambiente che hanno contribuito maggiormente alla sopravvivenza umana…”.

Biophilic Design ci permette di rimetterci in contatto con la natura, l’unico agente vivente che non ha mai tradito l’umanità, che ha sempre risposto con generosità e trasparenza a qualunque richiesta umana. Purtroppo anche alle più folli. Basti pensare a Chernobyl dove adesso ci sono piante che ricoprono tutto il disastro. Quello che non conosciamo o conosciamo in modo parziale è la capacità di assorbimento dell’inquinamento da parte delle piante anche in ambienti chiusi.

Secondo lei l’opinione media è consapevole dell’inquinamento indoor?

Non credo. Ma del resto, se l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) non informa di questo problema la cittadinanza, eccetto un minuscolo opuscolo scaricabile unicamente dal sito dell’Iss, come è pensabile che cittadine e cittadini possano esserne consapevoli? Le faccio un esempio semplice e drammatico dell’atteggiamento del mondo politico nei confronti di questo problema. Il 95% di profumatori per ambiente rilasciano nell’ambiente gas e/o polveri sottili nocivi per noi umani, è stato testato da diversi studi. Potrebbero essere assimilabili al fumo passivo, per intenderci. Ora, perché sui pacchetti di sigarette è scritto in caratteri cubitali che il fumo nuoce al fumatore e anche alle persone che lo subiscono e invece le indicazioni sulla tossicità dei prodotti profumatori per ambiente sono scritte in corpo 4, leggibili unicamente con una lente? Anche le candele della grande distribuzione hanno la stessa problematica ma solo consumatrici/ori consapevoli ne sono a conoscenza.

Con Urban Symbiosis Design state per lanciare Green Lung Zero, quanto è accessibile una tecnologia di questo tipo? quali costi dovrebbe mettere in conto una azienda che volesse utilizzarla?

Green Lung Zero è il progetto più avanzato del nostro studio. È una serra inserita in una teca simil-museale pensata come eccellenza di design: ospita 250 piantine che vivono senza radici e quindi senza terra. Si nutrono delle polveri sottili che si appoggiano sulle loro foglie dove ci sono milioni di piccole bocche con dei piccoli imbuti che riescono ad aprirsi alla misura della Pm10 e dei gas tossici presenti nell’ambiente.

Green Lung è fornito di ventilatori che portano nella serra tra i 5 e i 10 metri cubi di aria orari, l’aria che esce ha una percentuale di inquinanti ridotta del 50-60%, è un modulo con piccole ruote che può essere spostato nelle varie stanze. La serra è completamente autonoma quanto a illuminazione, vaporizzazione di acqua. Necessita unicamente di essere collegata ad una presa elettrica e di ricaricare il serbatoio di acqua ogni 20-25 giorni.

Al momento la stiamo pensando per le aziende o eventuali istituzioni/scuole ma in futuro si può immaginare di farne una versione accessibile anche a privati.

Urban Symbiosis Design coniuga scienza e design per ripensare il nostro rapporto con la natura, è davvero sostenibile con il pensiero dominante del nostro tempo, indirizzato verso un consumo mordi e fuggi?

Indubbiamente ci troviamo in un ambito in cui dobbiamo creare una domanda all’interno del mercato, ma notiamo segni positivi riguardo la sensibilità delle persone nei confronti di queste problematiche poche conosciute. Fa impressione pensare che questa problematica è stata evidenziata quasi 40 anni orsono, già nel 1984 l’Oms scrisse che fino al 30% dei nuovi edifici al mondo presentavano problemi di qualità dell’aria interna, causa di epidemie e allergie. Il termine che lo definiva, Sick Building Syndrom fu coniato dall’Oms nel 1986, e i dati ci dicono che l’inquinamento indoor è dalle 2 alle 5 volte maggiore di quello esterno. Eppure assistiamo al paradosso che le persone non aprono le finestre per paura dell’esterno o per non stare con un maglione in più.

Come è possibile pensare a qualcosa che non diventi solo una moda accessibile a pochi?

Stiamo lavorando su questo, la tendenza del futuro è di riportare il bosco dentro la metropoli, ma come luoghi di accoglienza, comunitari, non il bosco verticale per ricchi ma parchi aperti a chiunque. Del resto negli ultimi decenni abbiamo visto come nel rapporto fra umanità e piante noi diamo il peggio e loro ci ridanno il meglio.

 

pubblicato su Phoresta.org

 

 



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