Barbara Bonomi Romagnoli | I forum locali in Italia. Si preparano alla guerra – Verso Porto Alegre 2003
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I forum locali in Italia. Si preparano alla guerra – Verso Porto Alegre 2003

Per molti sono la sostanza del movimento italiano: gli oltre duecento forum sociali locali che dal 2001, all’indomani delle giornate genovesi, hanno promosso iniziative su temi locali e globali, con la continua ricerca di un dialogo tra culture e appartenenze differenti. Alla vigilia del terzo Forum mondiale abbiamo chiesto ad alcuni di loro una sorta di bilancio sull’ultimo anno, alla luce del Forum europeo di Firenze, e un’opinione sulle ipotesi di Riccardo Petrella, che parla di “terza fase” del movimento. Dalla Bassa Bergamasca al Sud Pontino, fino all’Alto Salento, i fori sociali sono nati ovunque, con metodi simili [assemblee e gruppi di lavoro] e spesso hanno creato dei fori tematici trasversali, che riuniscono l’Italia dalla Valle D’Aosta al Piemonte.

La novità degli ultimi mesi, per Antonio Bruno del Forum di Genova è stata la nascita dei forum territoriali: “A Genova c’è quello a Levante, quello a Ponente, e nelle due valli, e sono situazioni interessanti perché, più che altrove, ti accorgi della presenza delle persone ‘normali’ e si sente di meno il peso della grande associazione o del partito. Un’altra esperienza innovativa è stata il forum degli spazi nel centro della città, per riappropriarci di luoghi per tutta la cittadinanza”. Soprattutto dopo il G8, l’esperienza del forum genovese ha significato “elaborare il lutto” e, continua Bruno, “digerire quello che era avvenuto senza cedere alla tentazione, che abbiamo avuto in tanti, di tornare alla propria associazione o istituzione”.

A Bologna, la “questione migranti” è stata centrale, nelle assemblee del forum che di settimana in settimana coinvolgono dalle 30 alle 90 persone. “Ci siamo concentrati sull’accoglienza – spiega Roberta – perché è diventata ancora più difficile in città dopo l’apertura del Cpt. E poi di volta in volta abbiamo organizzato iniziative legate alla specificità della nostra città: dalla scuola alle nuove occupazioni, i lavori atipici e le privatizzazioni. A volte, succede che la logica delle scadenze ufficiali schiacci la quotidianità del lavoro, ma richiama certamente alla partecipazione”.

Maggiori difficoltà a Palermo, dove il Forum sociale siciliano, nonostante Attac, Ciss, Asgi, Agricoltura biologica e il Coordinamento dei centri sociali di area anarchica siano stati i primi, dopo Porto Alegre 2001, a creare un forum locale [a carattere regionale], oggi stenta a lavorare come forum in quanto tale. Ernesto Burgio di Attac Palermo pensa che sia necessario “creare un luogo di partecipazione davvero libero, senza aree dominanti che vogliano egemonizzare il forum, come per esempio all’indomani di Genova. Adesso a lavorare con il territorio sono rimaste Attac e la Rete Lilliput, su cinque temi fondamentali: il Mediterraneo e il traffico dei migranti, e a questo proposito è stata da poco costituita una rete di sostegno per le ragazze nigeriane [con contatti sia con la Nigeria sia con chi già lavora su questi temi nel resto d’Italia]; la pace, concentrandoci sulla base Nato di Sigonella; l’ambiente, in relazione alla questione del petrolio e al ponte sullo stretto; la vicenda di Termini Imerese, che non sarà la sola, domani magari succederà a Gela e poi chissà. Per questo abbiamo avviato un dialogo con gli operai sulla messa in crisi del modello di sviluppo liberista”.

Forse quello che manca ai forum italiani è una maggiore condivisione dei temi, se, come dice Maurizio Acerbo, Rifondazione comunista e dell’Abruzzo social forum, anche a Pescara c’è la sensazione di “aver lavorato bene durante l’anno, ma con la difficoltà a far crescere la partecipazione nelle assemblee e nelle riunioni, dove il noto parlarsi addosso spesso nuoce. È importante far diventare i forum sociali locali degli effettivi strumenti di condivisione per chi non è organizzato in strutture altre e favorire la nascita e il radicamento degli stessi forum anche in ambiti distanti ma affini al movimento stesso. Come Rifondazione abbiamo cercato di non porci come presenza egemone, magari dettando il calendario della politica tradizionale”. Maggiore euforia c’è a Firenze, grazie al successo dell’incontro europeo, dove il forum cittadino è diviso in dieci gruppi di lavoro [saperi, migranti, lavoro, privatizzazioni, guerra, ecc.] con almeno cento persone ogni settimana. “C’è un clima molto disteso – spiega Tommaso Fattori – tanti gruppi che prima non dialogavano ora lavorano con fiducia reciproca, e all’indomani del Forum europeo, si può dire con serenità di aver inciso sulla cultura di tutta la città. Il forum locale rappresenta la base di una programmazione politica”.

Ma è possibile affermare, con Petrella, che il movimento è arrivato alla fase della “programmazione politica”? I bolognesi sentono l’urgenza di una “sessione tematica”, ma sono convinti, spiega Roberta, “che per fare il salto di qualità e diventare propositivi dobbiamo continuare a fare lo sforzo di tenere assieme e dare un senso alle differenze”. Ma c’è anche chi ritiene prioritaria, più che una riflessione sulla maturità del movimento, la potenza distruttiva della guerra. Come Bifo, che racconta: “L’anno scorso a Porto Alegre sono rimasto colpito dallo scarto tra il trionfalismo del bilancio partecipativo, che è interessante ma ancora debole, e i proclami di Bush, che, negli stessi giorni, lanciava la politica della guerra permanente. Per il momento il movimento è solo oppositivo alla guerra”. E aggiunge preoccupato: “Mi duole dirlo ma dobbiamo aspettare il dopoguerra, per essere propositivi, vedere gli effetti della catastrofe compiutamente dispiegata, affinché sia possibile il rovesciamento della logica della guerra. Porto Alegre rimane comunque una occasione importantissima per fare il punto sulla sperimentazione dei nuovi modelli, ma come tutte le sperimentazioni in vitro è minoritaria, rara e perciò preziosa, ma non basta. Qui a Bologna negli ultimi incontri del forum sociale si è insistito molto sul tema europeo e probabilmente in Italia si può pensare a iniziative sul medio termine. Ma è come se la guerra avesse paralizzato la capacità di fare del progetto qualcosa di concreto. Ho l’impressione di non poter fare a meno di dare per scontato che la guerra sia già in atto e forse lo slogan di Porto Alegre 2003 dovrebbe essere ‘Pensare il dopoguerra e fare presto'”.

A Genova si stanno preparando molte iniziative di sensibilizzazione, sulla guerra, e questo ha fatto diminuire le partenze per il Forum mondiale che molti seguiranno a distanza. Antonio Bruno non crede che sia necessario pensare ora ad una programmazione politica, ma “è indubbio che se il movimento non riesce ad elaborare un progetto ci sarà presto un partito o altri che prenderanno il sopravvento. Se dovessi esprimere un’opinione sulle tesi di Petrella, aggiungerei che c’è anche un settimo punto. Il nesso tra lavoro / ambiente / modello di sviluppo: la crisi Fiat è illuminante. Spesso nel movimento, almeno nella realtà genovese c’è un divario tra contenuto e metodo. Io credo che il movimento debba darsi un minimo di struttura, leggera, perché la sua soggettività è fondamentale, ma non nel senso di un ‘partito del social forum’, penso piuttosto a una proposta comune, autonoma dalle varie appartenenze. Anche perché domani, quando ci saranno da vincere le elezioni, il movimento deve dettare delle proposte dal basso”.

Le parole però possono essere male interpretate, suggerisce Maurizio Acerbo, che più di programmazione politica preferisce pensare ad una elaborazione che mantenga il carattere dei “lavori in corso”, con una forte sedimentazione nel territorio e la costruzione di “campagne di massa” che aumentino il consenso. Stando attenti a non rincorrere i “tempi della politica con la P maiuscola, perché l’accelerazione può essere pericolosa, e si rischia di incorrere nei tentativi, ad esempio dopo Firenze, da parte degli ‘ulivisti critici’, di fare proprie le istanze del movimento e offrire in cambio le questioni della politica di palazzo. Preferisco che Porto Alegre 2003 abbia come obiettivo quello di diventare il luogo del movimento planetario contro la guerra”.

Porto Alegre sarà invece, secondo Tommaso Fattori, l’appuntamento dove si vedrà che “le utopie rischiano di realizzarsi per un processo in atto: secondo noi, è questo il nodo da sciogliere e che è stato evidenziato già a Firenze. Il movimento non è, come vorrebbe la visione riduzionista, il lato viscerale della protesta, mentre ad altri spetterebbe il compito di tradurre in politica e progettare. Non è così, il movimento non è fuori o altro dalla politica. Esiste già un programma politico, anzi al plurale, tanti programmi politici che si intersecano tematicamente nelle reti”. E aggiunge: “C’è bisogno di far crescere il movimento attraverso alleanze intellettuali, mi piacerebbe pensare ad un ‘intellettuale collettivo’ per rispondere ad una sfida che è anche teorica, senza pensare a ‘figure’ o a ricreare personalismi. Fare pensiero, riflessione e ricerca insieme. Con un doppio movimento, interno e esterno, di comprensione e divulgazione: nel momento in cui si elabora assieme, la comprensione all’interno è data dalle stesse dinamiche del gruppo. Poi è necessaria la capacità di portare sempre all’esterno quello che si produce. A Firenze è avvenuto questo. Da Porto Alegre 2003 ci aspettiamo molto, ossia la capacità di saldare luoghi o esigenze diversi, dal Nord al Sud, con un processo biunivoco: l’internazionale che guarda al locale e viceversa. Firenze guarda al forum mondiale come luogo per trovare spunti e idee ma anche luogo dove far confluire le proprie iniziative”.

pubblicato su Carta, www.carta.org



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