Barbara Bonomi Romagnoli | Giua, sospiro mediterraneo
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Giua, sospiro mediterraneo

È una donna solare e un’artista generosa. Sul palco le dita si muovono veloci sulle corde della chitarra classica e la voce, fra le più belle ascoltate negli ultimi anni, le insegue con grazia e passione. Sfumature vocali che si accordano alla sua scrittura a volte ironica, spesso intima e mai banale, fra giochi di parole, rime e allitterazioni. È Giua, giovane cantautrice, chitarrista e autrice di gran talento, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti per il suo lavoro e per la sua “voce scalza su parole essenziali”.

Nel 2007 ha esordito con il suo primo album [Giua, Sony Bmg] e nel 2012 è uscito TrE, progetto discografico realizzato con Armando Corsi e numerosi ospiti d’eccezione – Jaques Morelenbaum, Fausto Mesolella, Mario Arcari, Riccardo Tesi, Marco Fadda e Claudio Taddei. Due cd dove si mescolano il Mediterraneo con il Sudamerica e l’Africa, si ascoltano lingue differenti e testi inediti. Soprattutto si respira gioia e leggerezza, anche nella cura dei dettagli, e l’affiatamento di due artisti che lavorano insieme divertendosi.

Quando hai capito che musica&parole sarebbero state la scelta della tua vita? Quali sono state le prime influenze e le prime muse ispiratrici?
Che mi piacesse tanto scrivere canzoni, che fosse un mio modo di dire le cose, mi è stato chiaro fin da bambina. Che poi diventasse la mia vita è stato frutto di una serie di incontri fortunati e decisivi, qualcosa verso cui sono andata e continuo ad andare. Il primo incontro fondamentale è stato quello con mio padre: lo ascoltavo suonare e cantare, canzoni sue, di De Andrè, canzoni sudamericane, e mi piaceva tantissimo vedere come queste melodie e questi ritmi travolgenti – lui è nato in Venezuela – venissero fuori dalla sua chitarra. Così gli ho chiesto se mi insegnava a suonare. Le mie canzoni nascevano per gioco e per imitazione e parlavano delle persone che mi stavano vicino o di alcuni sogni. È stata una passione “facile”, che non mi ha mai abbandonata e che si è trasformata negli anni accompagnandomi sempre.

Negli ultimi mesi hai messo in campo, anche con  Armando Corsi e Pier Mario Giovannone, due progetti molto interessanti. Entrambi sembrano voler lanciare un messaggio: collaborare fa bene, è necessario, o come dite voi 1+1 fa 3. È una scelta di impegno culturale preciso: che reazioni state registrando? qual è la risposta di pubblico ma anche di altri colleghi?
Entrambi i progetti sono stati accolti molto bene, hanno incuriosito. Sia per quanto riguarda “TrE”- il mio ultimo disco a quattro mani con Armando Corsi, ricco di tanti ospiti – sia per quanto riguarda “L’arte (h)a peso” – un reading-concerto che abbiamo proposto nei mercati assieme al poeta Pier Mario Giovannone –  è stato bello vedere come musicisti e ascoltatori, anche quelli presi alla sprovvista tra le bancarelle di frutta e verdura, abbiano sentito propri i nostri progetti. Molte persone hanno iniziato a seguirci anche su internet: è piaciuta l’idea che “L’arte (h)a peso” volesse generare un movimento di proposta e non di protesta. Più che mai in questo momento storico, credo sia importante ripartire da una buona idea di rapporto, inteso innanzitutto come possibilità di ricevere qualcosa di buono che prima non c’era. Questo è il senso di 1+1 fa 3, dove 3 al posto di 2 come risultato rappresenta la buona riuscita di un incontro.

Nell’ironica Wonderwoman giochi con gli stereotipi sessuati da un punto di vista femminile. Sembra quasi una autocritica. Nel tuo percorso creativo hai incontrato i movimenti politici delle donne? Come vivi il maschilismo presente in forza anche nel mondo musicale e artistico?
Wonderwoman è stata l’occasione per alcune domande-riflessioni: quando riusciremo a liberarci da certi cliché? E soprattutto, perché spesso non sappiamo vedere e vivere il lato positivo della differenza? Penso che i movimenti politici delle donne abbiano portato avanti battaglie sostanziali, rivoluzionarie. Mi spiace però che queste lotte vengano ancora percepite come battaglie di genere e non riguardanti tutti.Il problema mi pare complesso: in tutti gli ambiti ci sono ancora diritti diversi e differenze di trattamento tra maschi e femmine non giustificate dal gusto o dal buon senso, ma da una mentalità odiosa. Quanto alla mia esperienza diretta, purtroppo mi è anche capitato di dovermi difendere dalle avances di uomini che ricoprivano ruoli importanti nel campo dello spettacolo. Ma qui si tratta di una questione di potere che prende le forme di una sopraffazione di genere.

Preferisci una stanza tutta per te per scrivere o sei fra quelle che prende l’ispirazione al volo e prende nota anche dietro uno scontrino al bar?
Colgo entrambe le occasioni: avere un tempo e uno spazio mio mi serve molto per scrivere, far precipitare le idee. Mi succede spesso di dover cogliere al volo una suggestione, un pensiero, una melodia, magari mentre cammino, guido o parlo con qualcuno! Per me l’ispirazione è quasi un modo di pensare, di pensare che ogni momento è buono per qualcosa: è disporsi in un modo che permetta alle cose di accadere.

Qual è una collaborazione che vorresti realizzare e non hai avuto ancora modo? Chi sceglieresti fra le colleghe per lavorare assieme?
Mi piacerebbe tanto fare un disco con Caetano Veloso, lo amo moltissimo: ha una delicatezza, una raffinatezza e una sensualità che mi cattura con le sue melodie e la sua voce. Tra le cantautrici italiane sarei curiosa di vedere cosa potrebbe nascere da una collaborazione con Carmen Consoli, così diversa da me e dal mio linguaggio musicale, ma così interessante e originale.

Se dovessi esprimere ora un desiderio?

Che questo nuovo anno sia davvero un anno nuovo.

 

pubblicato su http://giulia.globalist.it

 



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