Barbara Bonomi Romagnoli | Espulsioni verbali – Il linguaggio discrimina quanto le barriere fisiche. L’analisi di Giuseppe Faso
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Espulsioni verbali – Il linguaggio discrimina quanto le barriere fisiche. L’analisi di Giuseppe Faso

 

Giuseppe Faso, professore di liceo in pensione, da circa vent’anni si occupa di immigrazione. È tra i fondatori della Rete Antirazzista e da più di dieci anni tiene una rubrica su Percorsi di cittadinanza, rivista toscana dell’Anci, nella quale indaga le parole che contribuiscono a costruire un sistema e una cultura razzista, con un occhio particolare al linguaggio usato dai media nel trattare gli “stranieri”. Da queste riflessioni è nato un volume dal titolo Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono (Derive Approdi, 144 pagine, 10 euro).

È un titolo molto eloquente eppure assai complesso. Come si potrebbe spiegare a un adolescente che cos’è il razzismo democratico?

Il titolo iniziale non era quello, ma la proposta dell’editore mi è sembrata adeguata: per democratico intendo una struttura articolata di pregiudizi diffusa e che può convivere con le convinzioni di chi si reputa democratico. Non credo che le persone siano razziste, ma conviviamo con un razzismo che si sta facendo sistema.

In che senso?

Per costruire un sistema ci vogliono elementi che interagiscono tra loro rafforzandosi a vicenda, come le leggi, le campagne mediatiche, le azioni istituzionali, fino ai comportamenti autorizzati o percepiti come impuniti. Il fatto che ci siano dei balordi, dei pregiudicati o anche degli appartenenti alle “forze dell’ordine” che agiscono in maniera razzista non significa che le persone siano razziste ma che si vive in un sistema che legittima certi fatti. Questo sistema permette anche la diffusione del razzismo colto, quello che non parla di colore ma di differenze culturali. Fa sì che i politici, che non sono tutti cretini, sappiano benissimo che i Rom non rubano i bambini ma non lo dicono.

Lei ha scritto una sorta di vocabolario delle parole che sono alla base di questo sistema. Quali sono le più abusate?

Senza dubbio “clandestino”. È uno stigma spaventoso che va molto oltre l’essere senza documenti, un fatto che potrebbe essere detto in tanti altri modi. Vent’anni fa non era così diffuso mentre ora è sulla bocca di tutti. Hanno cominciato a usarlo anche i ricercatori universitari, alimentando l’ambiguità inventandosi strane contorsioni: chi è entrato in Italia con visto turistico e poi si è fermato è irregolare, chi non ha il visto è clandestino. Perché questa differenza? A livello internazionale, anche accademico, nessuno li chiama clandestini. Sarà colpa dell’università italiana, della superficialità, di fatto sembra esserci un problema sull’oggetto di studio di molte ricerche che non fa che alimentare il lessico razzista. Il giornalista che lo usa impropriamente è certamente pigro e forse qualunquista, ma c’è da dire che non lo ferma nessuno.

Nel libro parla spesso della responsabilità dei media.

I media hanno un ruolo decisivo. Senza la campagna stampa di Repubblica dell’anno scorso forse non saremmo arrivati a livelli così preoccupanti. Oltre poi alla responsabilità di chi governa, basti pensare a Veltroni e a quello che disse ai tempi del “pacchetto sicurezza” dello scorso governo: la matrice unica di alcuni delitti, l’efferatezza dei rumeni e così via. Un linguaggio assai poco sorvegliato.

Intanto il decreto Gelmini introduce le classi separate per ragazzi immigrati…

In un pomeriggio si è cancellato il lavoro svolto nelle scuole, nei centri interculturali, nelle amministrazioni locali, nel ministero stesso per capire come accogliere i bambini di cittadinanza non italiana. E si propone in cambio il ghetto, dicendo che così si insegna l’italiano. La lingua si impara stando nel gruppo dei coetanei. È un progetto che lascia costernati.


pubblicato su La nuova ecologia, 1/09 www.lanuovaecologia.it



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