Barbara Bonomi Romagnoli | Donne in carriera: si può fare, ma quante contraddizioni – intervista a Francesca Zajczyk
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Donne in carriera: si può fare, ma quante contraddizioni – intervista a Francesca Zajczyk

«Quando ho iniziato pensavo di avere le idee chiare, poi man mano che il libro ha preso forma mi sono accorta che il tema è davvero scivoloso e complesso». Francesca Zajczyk, classe 1947, sociologa all’Università Bicocca e consigliera comunale a Milano, racconta del suo libro con passione, definendolo «un percorso di conoscenza personale oltre che di confronto con centinaia di donne».

La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove identità (Il Saggiatore, pp. 224, euro 15) è un testo nel quale Zajczyk si interroga a voce alta sul tema delle donne nella società (rapporto con il lavoro, con il potere e la carriera, ma anche maternità, relazioni, qualità della vita). L’autrice ha scelto un osservatorio privilegiato, quello delle donne in posizione «apicale», quelle che ce l’hanno fatta, che sono arrivate in alto nel lavoro, anche se con enormi resistenze non solo da parte della società ma anche da parte di loro stesse, così come emerge dalle testimonianze.


In che modo le donne di successo possono parlare a tutte?

Me lo sono chiesto a lungo prima di iniziare il libro e ho capito che bisognava partire da loro perché fanno parte di un mondo variegato, con non poche donne giovani. Ho voluto cogliere in queste storie gli elementi di novità: parlare delle donne in posizione apicale nel lavoro, significa parlare di donne che hanno cercato e cercano soluzioni al loro essere anche madri, mogli, compagne, o anche donne single. Certo è una lettura parziale, ma può essere interessante soprattutto per le giovani generazioni capire come costruire percorsi di successo professionale che non interferiscano nelle scelte private. Sono convinta che il panorama femminile sia in movimento ma anche che ci troviamo di fronte ad una situazione dove gli stereotipi sono veicolati sia dalla società che da noi stesse.


Ne risulta un panorama in movimento ma anche contraddittorio. Qualche esempio?

Quando si parla di “resistibile ascesa” mi riferisco alle resistenze sul piano delle scelte. Assistiamo a un costante aumento del numero di donne con istruzione elevata – elemento fondamentale per l’accesso ai ruoli alti – e della possibilità di scegliere cosa fare della loro vita. Eppure è come se questa libertà, incomparabilmente maggiore rispetto a quella che avevamo nella mia generazione, sia falsa. E’ come se ci fosse una difficoltà a vedersi nei ruoli di responsabilità, anche quando si è riuscite a rompere gli steccati che impedivano la salita.


Solitudine e individualismo sembrano essere due aspetti molto forti nel libro…

Soprattutto nel caso delle più giovani assistiamo alla costruzione di percorsi di equilibrio tra casa e lavoro che sembrano tante microbattaglie di sopravvivenza, spesso originali e innovative, senza la consapevolezza della loro rilevanza sociale e politica. Che le generazioni più giovani siano più individualistiche appare in qualche modo inevitabile, visto che è venuto meno lo spazio pubblico di dialogo e condivisione. Le giovani donne si trovano in un mondo di relazioni che non ha conosciuto il valore dello stare insieme. Alla fine degli anni 70-80 c’è stato un defluire del movimento delle donne che si è nascosto o sciolto in tanti rivoli individuali.


Nonostante questo però certe conquiste sembrano essere acquisite

Infatti le più giovani cercano soluzioni per non rinunciare ai loro desideri e aspettative. Un aspetto che emerge dalla ricerca è che in coppie o di successo o dove il reddito è alto c’è un tentativo di costruzione del rapporto di coppia, non solo con una collaborazione nella gestione della casa ed eventuali figli, ma con un ruolo dell’uomo molto importante sul piano della piena condivisione della carriera della donna. Questa riguarda soprattutto le giovani donne che tendono a volere un uomo che sia partecipe delle loro scelte professionali.


Un nodo che sembra ancora irrisolto è quello del potere. E’ interessante come ne parlano le donne intervistate…

Spesso al potere gli viene attribuita una connotazione negativa, spesso riguarda gli altri e soprattutto molte donne ne parlano come di una cosa che è espressione della sola visione maschile in cui l’obiettivo è raggiungerlo per sé. Mi ha colpito molto chi nelle interviste ha parlato di «poterino». Anche in donne che sono al vertice, il potere sembra un elemento casuale, che arriva un po’ a caso.

Manca lo spazio pubblico, è venuto meno il ruolo della politica: cosa pensa di esperienze di movimento come quella di Usciamo dal silenzio?

Usciamo dal silenzio ha dato voce a qualcosa che c’era sotto la cenere. Un movimento raccoglie spesso una problematicità non espressa ma che risponde a bisogni sentiti e spesso trasversali. Temo però che i nuovi movimenti tendano pericolosamente ad avere come leadership delle figure storiche con un linguaggio datato. C’è anche un problema legato al ricambio e all’inizio della ricerca pensavo che le manchevolezze fossero soprattutto delle donne più mature nel non aver trasmesso i saperi. La realtà è più complicata e contraddittoria, c’è tutto e il contrario di tutto. E’ necessario promuovere saperi di donne in misura maggiore per occupare posizioni rilevanti. Soprattutto bisogna costruire modelli di comportamento autonomi, questo non è stato fatto ed autonomia è la parola chiave.

pubblicato su Liberazione, www.liberazione.it



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