Barbara Bonomi Romagnoli | Con la mafia le donne abusate due volte – Cosenza, centri antiviolenza
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Con la mafia le donne abusate due volte – Cosenza, centri antiviolenza

Son passati quasi vent’anni dall’omicidio di stampo mafioso di Roberta Lanzino, studentessa cosentina diciannovenne violentata ed uccisa nel luglio del 1988 a Torremezzo di Falconara Albanese, nella zona del Tirreno cosentino.
Il suo nome viene oggi ricordato con il lavoro quotidiano del centro antiviolenza di Cosenza “Roberta Lanzino” che è attivo dall’88 con una casa di prima accoglienza e una casa rifugio.


Il centro si occupa di fare non solo interventi e formazione contro la violenza alle donne, ma ha tra le sue finalità anche quella di costituirsi parte civile in eventuali processi.
Un lavoro che richiede tempo, energie e tanta pazienza, soprattutto considerato il contesto sociale in cui molti centri come questo si trovano ad operare. Per questo le donne di Cosenza non hanno esitato ad aderire alla manifestazione del 24 e saranno a Roma in tante.
«Abbiamo saputo della manifestazione attraverso il tam tam che c’è stato nella Rete dei centri antiviolenza di cui facciamo parte – racconta Antonella Veltri – e io che curo i rapporti con l’esterno ho seguito poi tutto il dibattito, anche se non abbiamo potuto essere presenti alle diverse assemblee che si sono svolte a Roma».

Che idea complessiva vi siete fatte di questa iniziativa, quali pensate siano le maggiori luci e ombre?
Il nostro primo sentimento è stato di contentezza. Era ora che si uscisse fuori, ognuna dai propri contesti. Noi donne del centro Lanzino riteniamo anche che la polemica separatismo sì/no sia un falso problema oggi. Nel senso che è evidente che sia opportuno in questo momento che gli uomini restino marginali, perché se è vero che il problema violenza li riguarda è anche vero che sono effettivamente marginali rispetto alle risposte da dare. Quanti gruppi maschile plurale esistono in Italia? Va da sé che questa deve essere in primo luogo una manifestazione di donne.

In questi giorni sono stati pubblicati ovunque i dati e le statistiche sul fenomeno. Qual è la situazione nel vostro centro?
Le storie che raccogliamo confermano i dati nazionali in termini qualitativi, ossia si tratta nella maggioranza dei casi di donne che subiscono violenza nei contesti domestici e all’interno della relazione uomo-donna. In più considera che qui in Calabria scontiamo anche l’influenza dell’ambiente mafioso. Spesso si tratta di casi in cui la violenza è doppia perché se il partner è implicato con la mafia c’è anche il ricatto e l’impossibilità di prendere parola. Un peso maggiore, questo, che aumenta la difficoltà per le donne di uscire dal silenzio e arrivare nei centri.


Come è la situazione complessiva in Calabria rispetto alle risorse e al riconoscimento dei centri antiviolenza?
La situazione è tale che l’altro giorno al Forum promosso dal dipartimento per le Pari opportunità c’eravamo pure noi e, quando hanno fatto riferimento ai dati della rete del 1522 (numero antiviolenza attivo 24 ore al giorno), il nostro centro è risultato ultimo perché non siamo riuscite ancora ad avere il riconoscimento istituzionale. Qui in Calabria, soprattutto grazie al nostro intervento, è stata fatta una legge regionale che però non ha copertura finanziaria. Questa è la situazione in cui lavoriamo.

E come vi mantenete?
Cerchiamo di firmare protocolli e convenzioni, ma ti dico solo che adesso ne abbiamo strappato a fatica uno di soli 6mila euro annui con il Comune. La situazione non è quindi facile e c’è anche da dire che in odor di legge regionale e della possibile legge nazionale, qui in Calabria stanno sorgendo centri e associazioni qui e là che cercano di accreditarsi presso le istituzioni.

Ma non è possibile agire dal basso?
La Calabria è una terra disgraziata. Difficile pensare che si possa dal basso agitare chissà che cosa, basti pensare anche ad altre vicende successe in questi mesi. La stessa società civile è un po’ rassegnata e silente. Si crede poco in tutto e anche tra donne c’è un po’ di scoramento.


Pubblicato su Liberazione, www.liberazione.it



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